Durante l’estate del 1915 erano giunte in Vaticano notizie molto preoccupanti su stragi e deportazioni che si stavano perpetrando a danno dei cristiani ottomani, cattolici compresi, nonostante le garanzie date, e insistentemente ripetute ma non attuate, dal governo dei Giovani Turchi al delegato apostolico mons. Angelo Dolci. Benedetto XV era costantemente informato di ciò che stava accadendo sia dalla stampa dei Paesi dell’Intesa, sia dagli ambienti della diplomazia, che si rivolgevano al Pontefice perché facesse udire la sua voce di condanna per quanto stava accadendo. Ma la sua fonte più certa e diretta era il suo delegato a Istanbul, mons. Dolci, il quale nell’agosto di quell’anno scriveva al segretario di Stato, card. Pietro Gasparri: «Orrori raccapriccianti sono stati commessi da questo Governo contro armeni nell’interno dell’impero. In alcune regioni sono stati massacrati, in altri deportati in luoghi incogniti per morire di fame durante il tragitto […]».
La linea che la Santa Sede in quel momento decise di adottare fu quella di condannare apertamente le stragi e le deportazioni di cristiani innocenti, senza fare distinzione tra cattolici, ortodossi o protestanti. Nel settembre di quell’anno il Papa, accogliendo l’invito di molti cattolici orientali, inviò una lettera al sultano Maometto V, con cui gli chiedeva di avere «pietà e intervenire a favore di un popolo, il quale per la religione medesima che professa, è spinto a mantenere fedele sudditanza verso la persona della stessa Maestà Vostra» e ancora di distinguere tra armeni «traditori o colpevoli di altri delitti», affinché «siano giudicati e puniti», e «innocenti», perché «non permetta Vostra Maestà che nel castigo siano travolti gl’innocenti e anche su i traviati scenda la Sovrana Sua clemenza». La notizia dell’intervento pontificio provocò una grande risonanza sulla stampa europea ed ebbe come conseguenza un certo riguardo del governo nel trattare le questioni concernenti i cattolici. Nella risposta che il sultano diede in udienza privata a mons. Dolci, furono ribadite le tesi ufficiali: il governo si era trovato innanzi a una congiuntura che rendeva impossibile altra misura che non fosse lo spostamento dei popoli. «Era impossibile alle Nostre Autorità – scrive mons. Dolci, riferendo il pensiero del sultano – poter fare una distinzione tra l’elemento tranquillo e quello perturbatore»: si ammetteva infatti che l’operazione svolta dai rivoluzionari avesse finito per coinvolgere indistintamente tutto il popolo armeno. Nel Concistoro del 6 dicembre 1915, Benedetto XV denunciò davanti al mondo civile d’estrema rovina» che si era abbattuta sul popolo ameno. La sua fu una delle poche voci che si alzò a quel tempo in difesa «del popolo armeno gravemente afflitto condotto alla soglia dell’annientamento». La voce del Papa, come avvenne anche successivamente, non fu ascoltata, e la rovina per l’Europa e il mondo fu grande. Anche La Civiltà Cattolica (come pure L’Osservatore Romano), incoraggiata dal Papa, aveva trattato in diverse occasioni delle stragi perpetrate contro civili armeni da parte delle milizie turche […]
Fonte: pagg. 27-28, IL NOVECENTO TRA GENOCIDI, PAURE E SPERANZE di Sale Giovanni
Vedasi anche:
La Grande Guerra – LA DIPLOMAZIA DI BENEDETTO XV (di Massimiliano Italiano)
Avvenire.it – Papa Benedetto XV contro il genocidio
30giorni.it – Una supplica al sultano. Una lettera di Benedetto XV